ATTENZIONE!
Quello che andrete a leggere è il primo capitolo di un racconto che sto scrivendo, tutto ciò che leggerete è frutto della mia mente e ogni coincidenza con nomi e avvenimenti realmente accaduti è pura casualità; non intendo offendere la sensibilità altrui e invito alla lettura il solo pubblico maturo. Vi chiedo inoltre, di non appropriarvi o divulgare questo racconto, poiché non è assolutamente a scopo di lucro ma solo per puro divertimento personale. Buona lettura.
18
Maggio.
Mi
chiamo Max Worrell, ho 36 anni e vivo a Saint Louis nel Missouri.
Non
avrei mai pensato di ritrovarmi a scrivere un diario, ma è passata
una settimana dall'inizio del coprifuoco e sentivo il bisogno di
sfogarmi in qualche modo. Fuori la situazione non sembra migliorare;
l'esercito e le forze di polizia pattugliano la città giorno e
notte, mentre alla TV danno di continuo notizie di nuovi casi di
contagio. Questa
mattina ha chiamato Hedges (il mio capo) per avvisare che terrà
chiusa l'officina fino a nuovo ordine. Poco
male, avevo delle ferie arretrate da fare.
Ed
eccomi qui, a passare le mie giornate chiuso in casa a guardare
notiziari come se fossi uno di quei vecchi rincoglioniti all'ospizio. Vorrei
farmi un giro per strada, prendermi una birra al pub con i colleghi
di lavoro o andare a vedere qualche partita dei Cardinals; invece
sono rinchiuso nel mio appartamento a scrivere su di un vecchio
quaderno logoro. Forse
era destino che un giorno il mondo impazzisse e che io mi mettessi a
scrivere le mie fantastiche avventure tra queste quattro mura. Chi
lo sa, magari un giorno leggeranno sui libri di storia di quando la
città era invasa da pazzi assassini e di come il prode Worrell,
rintanato nella sua Batcaverna al secondo piano del 12050 di Utah
Street, passasse le sue giornate a poltrire aspettando che qualcuno
dei suoi condomini, preso da compassione, gli portasse qualcosa da
mangiare che fosse degno di essere chiamato cibo. Non
come quelle schifezze che continuo a comprare nel negozio all'angolo. Giuro:
una volta finito questo casino andrò a fare spesa come si deve e
imparerò a fare qualcosa di diverso da un uovo sbattuto o un
sandwich. Cazzo
sì, voglio imparare a cucinare il pollo con le patate.
19 Maggio.
Partiamo
con ordine. 43 giorni fa, nella sola St. Louis, si sono verificati
più di 400 omicidi in poche ore.
I
notiziari hanno subito parlato di un'ondata di ultraviolenza.
Nei
giorni a seguire, anche nel resto del paese si verificarono in numero
sempre crescente, atti di ferocia inaudita. Dopo
una settimana chiusero le scuole, poi gli aeroporti e le frontiere,
mentre da qualche giorno pure i negozi, gli uffici e ogni luogo
pubblico. Parlano
di attacco terroristico, forse una tossina nell'aria o un qualche
tipo di nuovo virus; l'unica cosa certa è che prima di perdere il
controllo e iniziare a spaccare la testa al tuo vicino di casa, entri
in uno stato catatonico, poi inizi a sbavare liquido nero. Chi si
ammala sembra perdere ogni forma di controllo, smette di parlare e si
esprime in versi, sembra regredire a uno stadio quasi primitivo. E'
assurdo. Il
presidente assicura che il governo ha tutto sotto controllo. Ma ne
siamo certi?
Oggi
una volante della polizia è passata per strada, dagli altoparlanti
dicevano che domani, alle 15 in punto, passerà un camion della
protezione civile con le scorte di cibo e acqua. Se
avessero pure le sigarette sarebbe fantastico. Credo
che dovrò di nuovo chiederne una a Jimmy, sperando che suo padre non
mi rompa il naso prima. Il
signor Reed (Joe) non è un tipo loquace, ha un carattere molto
introverso e tende ad innervosirsi facilmente. Sua moglie Ester
invece, è l'esatto opposto, piena di spirito e di una dolcezza
infinita. Purtroppo, da quando loro figlio più grande è morto in
Iraq, capita spesso che la senta piangere per delle ore, mentre il
figlio più giovane cerca di farle forza. Jimmy è un gran bravo
ragazzo, frequenta il primo anno del college e nel tempo libero fa
qualche lavoretto per aiutare in casa. E' pure la mia fonte di
sigarette assicurata; basta non farlo scoprire da suo padre, o sono
guai. Se sapesse che fuma lo prenderebbe a calci in culo. Sul serio.
20 Maggio.
Il
camion è passato puntuale, scortato da 4 mezzi militari come quelli
che si vedono nelle zone di guerra. La cosa non mi ha rassicurato. Eravamo
tutti in fila fuori dalle case. Mai visto una cosa del genere.
Nessuno
parlava, aspettavano solo il proprio turno per poi tornare a
chiudersi in casa. Hanno tutti paura, nessuno escluso. Persino il
signor Reed, lui
che con il suo sguardo alla Clint Eastwood riuscirebbe a far
pisciare sotto persino il demonio, oggi invece sembrava agitato più del
solito: credo che pure lui consideri la situazione più grave di
quello che vogliono farci credere.
Ho
cibo per una settimana, credo. Tra pasta, scatolette di carne,
cracker, purea si frutta e barrette di cioccolato e scorte d'acqua,
non dovrei morire di fame. L'esercito
ha fatto sapere che sarebbero tornati lunedì con un secondo carico
di viveri. Per tutta la giornata i camion della protezione civile
hanno portato scorte di cibo nella città. Mi
chiedo se è così pure dalle altre parti colpite dalla malattia. O
forse là se la passano meglio che da noi? Domani proverò a chiamare
Lou. Non
lo vedo da quando è morta mamma. Spero stia bene.
21 Maggio.
Ho
chiamato Lou. Ha detto che stanno tutti bene e che Arlington, per il
momento è sicura. Ma ha già in previsione di spostarsi nella casa
dei nonni fuori città, giusto per precauzione.
Lou
ed io non siamo mai andati d'accordo, mai. Siamo l'esatto opposto
l'uno dell'altro, nonostante fisicamente siamo identici: stessi
lineamenti squadrati, stessi occhi azzurri presi da mamma e stessi
capelli biondi di papà. Quando papà aveva ancora i capelli.
Insomma, quasi due gocce d'acqua; se non fosse che lui è laureato,
sposato, ha una figlia di 5 anni, un ufficio tutto suo, tre macchine,
una moto e una bella villetta nel quartiere residenziale. Mentre
io invece, lavoro in una piccola officina meccanica, abito in un
appartamento vecchio e bisognoso di urgenti ristrutturazioni, ho la
vecchia Ford di papà e non ho mai potuto permettermi una briciola di
quello che lui possiede. Quando
i nostri genitori si separarono io rimasi a St. Louis con papà,
mentre lui e mamma andarono in Texas, a casa dei nonni.
Dovetti
lasciare il college e cercare lavoro per poter aiutare mio padre, che
nel frattempo era diventato un alcolizzato. Perse il posto di lavoro
alla fabbrica e insieme a quello pure la voglia di vivere, lo sentivo
tutte le notti piangere e pregare Dio di morire. Qualche
mese dopo fu accontentato con un infarto.
Al
funerale mamma non venne, Lou non mi diede una risposta valida sul
motivo di tale gesto, ma sono sicuro che fosse per il fatto che lei
si frequentasse di già con un medico molto importante ad Arlington.
Un uomo che avrebbe potuto dare un futuro al suo figlio prediletto,
mandandolo in scuole prestigiose e spalancandogli una porta per il
successo assicurato. Quindi
era meglio per lei dimenticare alla svelta di quell'uomo che per 22
anni la sopportò nonostante lei lo trattasse come una merda.
Io
non vedevo l'ora di poter andare al college per allontanarmi da loro,
dalle continue urla, pianti e liti furibonde per problemi stupidi che
qualsiasi altra famiglia avrebbe superato senza troppe difficoltà;
ma che in casa mia diventavano montagne invalicabili. Poi
divorziarono e le liti finirono, io cercai di prendermi cura di papà
ma fallii completamente. Lo lasciai da solo nell'oscurità, con una
bestia che lo divorava pezzo per pezzo; ogni giorno scivolava sempre
di più tra le braccia dell'alcol. E io che facevo? Nulla, mi
limitavo a guardarlo come si guarda un barbone per strada, uno di
quelli a cui non daresti nemmeno un dollaro.
Lo
stavo a guardare mentre marciva, sorso dopo sorso. Avrei
dovuto aiutarlo, ma il suo comportamento da sconfitto non faceva che
allontanarmi, disgustarmi. L'ho lasciato solo al suo destino e l'ho
capito troppo tardi, quando una sera rientrando a casa da lavoro lo
ritrovai riverso a terra. Morto.
Per
un'ora osservai il suo corpo immobile, con gli occhi ancora
spalancati a guardare il vuoto in un'ultima disperata ricerca
d'aiuto. Lo
stesso aiuto che non gli ho mai dato.
E'
difficile vivere con un rimorso simile.
22 Maggio.
I
signori Robins, al piano terra, hanno deciso di barricare le finestre
che danno sulla strada. Dicono di aver visto passare un infetto la
scorsa notte. Nonostante
abbiano circa settant'anni, sono ancora molto attivi.
Caroline,
ad esempio, è un'amante delle attività fisiche, la si può
incontrare spesso mentre corre su e giù per Utah St. Il marito,
Harrison, è un fissato del ciclismo. Sono delle persone molto in
gamba.
Mi
ricordano molto i nonni (da parte di mamma). Ogni
estate, fino all'età di 18 anni, andavamo a trovarli ad Arlington.
Sembra passato un secolo da quando io e mio fratello andavamo a
pescare con nonno.
Sono
i ricordi più belli della mia infanzia, momenti persi nel tempo;
frammenti sbiaditi di una vita passata. Prima delle liti furibonde,
quando ancora eravamo una famiglia felice.
Jimmy
ha appena bussato alla mia porta, mi ha portato una fetta di torta
fatta da sua madre. Quella donna è un angelo.
23 Maggio.
Accadono
cose nella vita, che ti prendono a pugni nello stomaco. Ti fanno
capire quanto tu possa essere fragile, indifeso. Accadono senza che
tu possa fare nulla per intervenire, accadono perché devono
accadere. Accadono senza un perché, senza una risposta. Succedono e
basta. E ti ritrovi nel più buio dei posti, nel tuo buco infernale
fatto di dolore. Nudo, senza difese. Perché nulla ti può difendere
dalla vita. Il fato è beffardo, ti prende per il culo da quando sei
al mondo. Giorno dopo giorno, ti viene sbattuto in faccia il fatto
che tu non controlli nulla, ti puoi impegnare per controllare ciò
che ti succede. Ma non farai che ritrovarti sempre nel tuo buco
infernale. Non puoi controllare la tua vita, non puoi evitare certi
avvenimenti. Devi solo accettare la verità e andare avanti, ogni
volta che cadi nell'oscurità, devi trovare la forza di uscirne.
Trovare
il coraggio di alzare la testa e gridare un grosso “VAFFANCULO” a
questa vita bastarda.
Si,
devi solo trovare il coraggio di farlo, ma non è semplice.
Perché
quando ti chiamano per dirti che un tuo collega ha ucciso la sua
famiglia; tu come reagisci?
Cadi
nella buca, oppure gridi con tutto il fiato che hai in corpo?
Io?
Cado
nella buca urlando.
24 Maggio.
Non
sono riuscito a prendere sonno. Mi sento ancora male per ieri. Sapere
quello che ha fatto Mark alla sua famiglia mi ha letteralmente
sconvolto. È
stato Hedges ha chiamarmi, dalla voce si capiva che era sconvolto
tanto quanto me. Io
e Mark lavoravamo insieme da circa dieci anni. Parlava
sempre dei suoi due figli: Samuel e Zoe, la piccolina di casa. Li
amava con tutto se stesso. Ma come cazzo è possibile? Come può una
fottuta malattia cambiarti in questo modo? Non riesco a pensare ad
altro. Non riesco. Sono
terrorizzato da questa situazione di merda.
Ho
sentito la famiglia Reed litigare per tutta la mattinata. Jimmy
è venuto nel mio appartamento a rifugiarsi dalla lite dei suoi, come
se una parete potesse impedire alle loro grida di raggiungerci. Alla
fine lo capisco, a casa mia succedeva tutti i giorni che i miei
litigassero e che io scappassi fuori casa per non doverli sentire. Mi
ha raccontato che prima non era così, che quando c'era suo fratello
le cose erano diverse, che andavano tutti d'accordo. I
Reed non parlano mai di Tyler, fanno finta che non sia mai esistito. Forse
li aiuta ad andare avanti. Ma non è possibile dimenticarsi di un
figlio. Non è possibile anche il solo pensare di farlo.
Abbiamo
mangiato le ultime cose che avevo in casa, mi ha fatto piacere
dividerle con lui. Verso le 15 è tornato nel suo appartamento.
Mi
sono svegliato di soprassalto, sudato e con il cuore in gola.
Ho
sognato papà. Ha detto che presto mi porterà con lui.
26 Maggio.
Da
ieri pomeriggio siamo barricati nella palazzina. Fuori è il caos.
E'
successo mentre aspettavamo i rifornimenti; eravamo tutti in fila
fuori dalle abitazioni quando all'improvviso, dalla Ohio Avenue, è
arrivata una folla di gente infetta. Le loro urla erano assordanti,
la loro corsa sembrava inarrestabile. Ero
terrorizzato, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle
persone.
Li
guardavo mentre aggredivano chiunque non riuscisse a correre più
veloce di loro, li ho visto trascinare a terra e colpire con furia la
testa di un povero anziano. Colpirlo fino a sfondargli il cranio.
E'
stato orribile. Continuavo a fissare le loro mani sporche di sangue,
la loro espressione di collera, mentre dalle loro bocche sgorgavano
fili di bava nera. Li
vedevo arrivare, eppure non riuscivo a muovermi. Sentivo la voce di
mio padre chiamarmi, gridare forte il mio nome. Ero in preda al
panico e sentivo chiaramente la sua voce. Stava venendo a prendermi,
ormai gli infetti mi avevano quasi raggiunto. Allora ho chiuso gli
occhi e ho atteso l'impatto con la loro furia, continuando a ripetere
nella testa: “ E' finita cazzo. E' finita”.
Ma,
un'istante prima della fine, mi sono sentito afferrare per un braccio
e trascinare con forza sotto il piccolo portico della palazzina. Era
il signor Reed. Siamo
entrati giusto in tempo, appena chiusero la porta, quei bastardi ci
si schiantarono contro. Hanno tentato di sfondarla con calci e pugni
e ce l'avrebbero fatta, se non fossero arrivati gli Humvee
dell'esercito. Per
qualche minuto eravamo nel bel mezzo di una battaglia, si sentivano
le urla degli infetti venire coperte dal suono delle armi. Eravamo
tutti spaventati a morte, la signora Reed e la signora Robins erano
in lacrime, Jimmy stringeva sua mamma tra le braccia. Io non sapevo
cosa fare. Ero nel panico più totale. Abbiamo
atteso in silenzio per circa un'ora. Nessuno sapeva cosa dire,
neppure il signor Reed, visibilmente scosso, che abbracciava sua
moglie nel tentativo di calmarla. I Robins erano in lacrime, Harrison
stringeva la mano della moglie e tutti e due cercavano di farsi forza
a vicenda, mentre Jimmy cercava di contattare al cellulare la sua
ragazza. Fuori nel frattempo, gli spari si erano fatti più lontani e
non si sentivano più le grida degli infetti. Lentamente ho aperto la
porta d'ingresso, quel tanto che bastava per riuscire a vedere la
strada; davanti a casa ho contato 5 corpi, ma poco più in là sono
sicuro di averne visti almeno altri 3. Uno di loro era un nostro
vicino.
I
Robins sono stati invitati dai Reed a rimanere insieme nel loro
appartamento nella speranza di farli sentire più al sicuro. Jimmy
non è riuscito a contattare la sua ragazza, ha paura che le sia
successo qualcosa. Ho provato a chiamare Lou, ma il cellulare non ha
campo. I notiziari parlano di contagio di massa, la malattia sembra
aver colpito circa il 20% della popolazione mondiale, mentre un 32%
sarebbe ad alto rischio di contagio. Noi siamo quel 32%.
Nelle
grandi città la malattia si propaga in fretta, l'esercito sta
cercando di contenere l'infezione, mentre gli ospedali e le farmacie
sono prese d'assalto. E'
stato dato l'ordine di recarsi, il prima possibile, nei centri per le
emergenze che stanno allestendo in ogni città colpita. Fatico ancora
a credere che stia succedendo realmente...
Domani
dovremo decidere cosa fare: se rimanere qui nell'attesa che la
situazione torni alla normalità, oppure se dirigerci verso il centro
città in cerca d'aiuto. Nel frattempo proverò a prendere sonno.
Sperando di posticipare l'incontro con papà di almeno un'altra
trentina d'anni.
BEFORE
THE END
[continua]
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