giovedì 27 marzo 2014

La fine dell'arte?

Cosa rappresentino per me i videogiochi è semplice: arte. Una dimensione artistica virtuale in cui è possibile calarsi per vivere emozioni e sentimenti reali; una realtà astratta che diventa tangibile attraverso i nostri joystick/controller o qualsiasi cosa usiate per giocare. Perché sembreranno stupidate quelle che scrivo, ma l'immaginazione è lo strumento più grande che l'uomo abbia e se vi guardate attorno anche solo per un attimo, lo capirete pure voi. Tutto ciò che vi circonda in questo momento è stato concepito da qualcuno, prima nella sua mente e ora tangibile nella realtà.

Sono stati concepiti mondi virtuali che ancora oggi, dopo anni dalla loro creazione, ancora incantano e affascinano i giocatori di tutto il mondo per la loro bellezza o unicità. Perché non basta la grafica, ci vuole un atmosfera giusta, devi immedesimarti e provare empatia per i luoghi che visiti o i personaggi che incontri.
E se ci riuscirai, vorrà dire che quel dato gioco è un'opera d'arte. Perché non è da tutti riuscire nell'ardua impresa di rendere un videogioco qualcosa di più. Qualcosa che rimarrà nella mente di milioni di persone per sempre.Ma purtroppo, negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Non riesco quasi più a provare sentimenti mentre gioco, come se tutto fosse sterile e privo di emozioni.  

Forse sono io che crescendo ho perso quel qualcosa che prima mi faceva apprezzare di più ciò a cui stavo giocando, o forse è veramente cambiato il modo di creare i videogiochi. Ovviamente essendo un bene di consumo, viene creato per il solo scopo di vendere e fare soldi, ma prima era diverso. Sentivo che ci mettevano anima e corpo per rendere quel prodotto unico, dando sfogo a tutta la loro creatività e riuscendo a dare vita a saghe videoludiche divenute storiche.
Ma ora il mercato è cambiato, vende meglio il cinquantesimo seguito del solito brand che da più di dieci anni è fermo nel solito punto e che non mostra segni di cambiamento. Milioni di giochi fotocopia che ogni anno invadono gli scaffali dei negozi, ogni anno con una copertina differente, ma dal medesimo contenuto dell'anno precedente (pure la rima ho fatto, tiè).
Fortunatamente però, esistono ancora persone che riescono a creare prodotti di alto livello e comparabili per bellezza e profondità, alle glorie del passato. L'unico problema è la rarità di queste perle e la difficoltà che possono avere nell'inserirsi nel mercato videoludico, rimanendo molto spesso in disparte o rilegate a un pubblico di nicchia. Che per una software house piccolina vuol dire il più delle volte il fallimento. Ed è un peccato, perché proprio in loro si potrebbe sperare in un ritorno alle origini, a quando li potevamo chiamare non programmatori, ma artisti digitali. 


Speriamo di no.