martedì 3 maggio 2016

Creepy Mind #1

Oggi per voi una nuova rubrica, incentrata sulle mie e volendo pure le vostre esperienze paranormali. Benvenuti a:

Minchia, sembra la copertina di un disco black metal scrauso.
Non ricordo di preciso il luogo, forse Ponte di Legno (?) o qualcosa del genere, comunque da qualche parte in montagna; io ed il resto del gruppo scout dovevamo fare due settimane in quello che sembrava un rifugio appena ristrutturato, per metà adibito ad abitazione privata, in cui viveva un guardiacaccia (credo lo fosse, ma poteva pure essere un pericoloso serial killer di scout, vallo a sapere) e per decine di chilometri il nulla assoluto. Ma proprio nulla di nulla, del tipo che se qualcuno di noi stava male per portarlo giù in paese ci voleva almeno mezz'ora di macchina. E noi non avevamo una macchina. Immaginate quindi una trentina di ragazzetti tra maschi e femmine sperduti tra i monti, per due settimane lontani da casa, accompagnati da una manciata di adulti a tenerci controllati. Prima di proseguire col racconto, è giusto descrivere al meglio il luogo: come ho già detto, l'abitazione era divisa in due parti, la prima come casa privata e la seconda suddivisa su tre piani adibita a campo base; il piano terra era uno stanzone con tavoli, sedie e una piccola cucina, dove si svolgevano gran parte delle attività di gruppo al chiuso, mentre all'esterno c'era il selciato di ghiaia e la strada che portava al paese più vicino, poco più sotto un grande prato verde e tutt'attorno un fitto bosco, che circondava interamente la zona. Il secondo piano era invece la zona notte: una grande stanza che ricalcava le dimensioni di quella al primo piano, che i capi avevano diviso a metà con dei teli per separare la parte dei maschi da quella delle femmine. Tra letti a castello a tre o due piani, brandine e letti matrimoniali, il luogo era molto affollato e lo spazio per muoversi era esiguo, tranne per lo spazio davanti ai bagni e alla scala che portava al terzo e ultimo piano: la soffitta dove tutto ebbe inizio.

Non ricordo chi sia stato a spargere la voce, ma pochi giorni dopo il nostro arrivo qualcuno disse che in soffitta era custodita la pelliccia di un orso; una cosa che fece salire la curiosità di tutto il gruppo a livelli da Indiana Jones e andiamo tutti a vedere la dannata pelliccia ora e subito. Ovviamente però, la voce della presunta presenza del trofeo di caccia arrivò alle orecchie dei capi, che diedero l'ordine tassativo di non avvicinarci alla soffitta, dicendo che apparteneva al guardiacaccia e che non potevamo toccare nulla. Ma secondo voi, dei giovani esploratori come noi, si potevano trattenere dalla curiosità solo perché "i capi" avevano detto di no? Ecco, appunto. Tutto si svolse nel più totale silenzio, poco dopo mangiato, mentre gli adulti ci lasciavano riposare da soli in attesa delle attività pomeridiane, sono bastati pochi sguardi d'intesa e un cenno con la testa per reclutare con me due o tre amici, pronti per avventurarci nella soffitta proibita. Salimmo le scale in legno cercando di non dare troppo nell'occhio agli altri ragazzi, sbucando con la testa per vedere se nell'anticamera della soffitta ci fosse qualcuno a dormire, dato che c'erano due letti usati da una coppia di capi: nessuno in vista, potevamo salire indisturbati. L'anticamera era lunga poco più di tre metri, giusto per farci stare due letti lungo le pareti, il pavimento era tutto in legno e scricchiolava ad ogni passo, per questo motivo camminavamo piano, per evitare di farci scoprire, ma quando fummo a metà stanza ecco arrivare l'incubo. 

Dalla porta della soffitta partirono dei passi verso di noi, come se qualcuno stesse attraversando l'anticamera di corsa; il problema è che non c'era nessuno oltre a noi poveri ragazzetti. Il tempo sembrò fermarsi nell'attimo in cui guardai in faccia il ragazzo che avevo alla mia sinistra, anche lui stava sentendo quei passi e la sua bocca si stava aprendo in una smorfia di terrore, prima di lanciare un grido molto poco mascolino e correre giù dalle scale spintonando chi era rimasto dietro di lui. Io rimasi giusto un secondo in più di lui, il tempo di sentire quell'ultimo passo invisibile arrivarmi sotto i piedi: non ho mai corso così veloce in vita mia.

Da quel momento il tormentone del campo era la parola "fantasma", pronunciata con timore dai più, mentre gli scettici cercavano in tutti i modi di percurlarci tutti facendo scherzi idioti. Ma ebbero poco da festeggiare, perché qualche sera più tardi avrebbero cambiato idea pure loro. I capi vennero a conoscenza della nostra impresa poco eroica, ma invece di punirci decisero di mettere la parola fine alla storia della pelliccia dell'orso portandoci tutti quanti a vedere questa fantomatica reliquia. Faccio senza dirvi che purtroppo non era un grizzly, come invece speravamo tutti noi ragazzi, ma molto probabilmente un qualche stambecco o capriolo. Comunque, tornando a noi, dovete sapere che dopo cena, i capi davano circa un'oretta di tempo libero ai ragazzi per ritrovarsi con la propria squadriglia e prepararsi per le attività notturne, che potevano essere piccoli spettacoli o giochi veri e propri. Eravamo quindi tutti riuniti nella stanza al secondo piano, chi seduto o coricato sul letto, chi in piedi vicino alla porta d'entrata, chi andava a destra, chi a sinistra, insomma avete capito. Eravamo tutti intenti a fare qualcosa, quando all'improvviso qualcuno bussò alla porta d'entrata; un ragazzo andò ad aprire e poco dopo la richiuse, nessuno ci fece caso pensando che fosse un qualche capo venuto a controllarci o a prendere qualcosa, ma quando al ragazzo gli chiesero chi fosse stato a bussare lui rispose "nessuno". Il gelo. Chi era vicino a lui gli chiese se stesse scherzando e lui rispose di no, che semplicemente quando aprì la porta, dall'altra parte non c'era nessuno. Il gelo 2. L'eco della parola fantasma si levò da un gruppo di ragazze, che evidentemente erano già sull'attenti e pronte per un'altra notte insonne accompagnate dalla paura del buio e delle creature delle tenebre. Io e il mio gruppo continuammo comunque a fare le nostre cose, senza dare troppo peso al fatto della porta convinti che gli altri ragazzi avessero solo voglia di fare i cretini, fino a quando qualcuno bussò nuovamente, questa volta con più forza e insistenza. La porta era una di quelle vecchie, in legno con i chiavistelli; tremava sotto i pesanti colpi, mentre nella stanza era calato il silenzio. Pochi secondi dopo i ragazzi aprirono nuovamente la porta, ma ancora una volta non c'era nessuno, guardarono fuori con le torce elettriche, perché non l'ho ancora scritto, ma per salire al secondo piano c'era un unico modo: salire una piccola scalinata sul fianco esterno della casa e attraversare uno stretto corridoio che percorreva l'abitazione per tutta la sua lunghezza, delimitato da un muretto di cemento a livello con la fiancata dell'altura e una recinzione. Dietro di esso solo il fitto bosco. Il corridoio esterno era poi diviso da una staccionata con un cancellino, che divideva la casa del guardiacaccia dal resto della struttura. Era quindi impossibile che qualcuno in pochi secondi potesse scavalcare la recinzione e nascondersi nel bosco, oppure arrivare alle scale esterne e scendere, come pure saltare la staccionata del guardiacaccia. L'espressione "cagarsi addosso", descrive perfettamente lo stato d'animo che aleggiava in quella stanza. Le ragazze erano terrorizzate, noi maschi pure, ma dovevamo a tutti i costi capire cosa stesse succedendo; vennero quindi creati due gruppi, il primo posto davanti alla porta, armato di torce elettriche e coltellini svizzeri, che non si sa mai possano tornare utili per affettare un fantasma. Mentre il secondo, sempre armato di torce, venne posto all'unica finestra che dava sulle scale esterne, con l'ordine di fare luce continua e di avvisare nel caso passasse qualcuno. Passò qualche minuto, io ero davanti alla porta assieme alla mia squadriglia e qualche altro ragazzo, sembravamo un piccolo esercito pronto alla carica, nessuno parlava, ma tutti sudavano freddo. La tensione era palpabile nell'aria, c'è chi tra le ragazze piangeva e veniva consolata dalle amiche, mentre noi, i maschi alfa della situazione, eravamo pronti a tutto per porre fine a quella storia. E quando la porta tremò nuovamente sotto un pesante battito, venne spalancata immediatamente, senza lasciare il tempo di poter dare un secondo colpo o scappare a chi stesse bussando. Il gelo 3. Non c'era nessuno. 

Una bolgia di ragazzi terrorizzati scese le scale esterne, tra urla, pianti e brutte parole, tutti diretti al primo piano, quasi sfondandone la porta d'entrata, alla ricerca dei capi. Ovviamente gli adulti dissero che era stato il vento o la nostra immaginazione, che la casa era vecchia e che fosse normale che scricchiolasse, ma ricordo bene che le loro espressioni erano preoccupate tanto quanto le nostre. Comunque per quanto mi riguarda, oltre ad un ufo nel cielo notturno l'ultima notte di campo, non mi successe nient'altro di strano in quel posto, ma sicuramente a qualun'altro sì, perché un ragazzo si fece venire a prendere dai genitori pochi giorni dopo essere arrivati. Purtroppo non sono riuscito a reperire informazioni sul luogo esatto, come neppure altri dettagli a me sconosciuti dai ragazzi presenti, che però mi hanno confermato che non sono l'unico a ricordarsi del "fantasma del campo estivo". E qui si conclude il primo appuntamento con la rubrica Creepy Mind, spero di non avervi annoiati troppo; nel caso vogliate confidare o raccontare una vostra storia, potrete farlo mandandomi una mail al solito indirizzo, in modo che poi possa pubblicarla.