mercoledì 2 dicembre 2015

XAGAX [capitolo 1]

ATTENZIONE!
La lettura del seguente racconto è consigliata ad un pubblico maturo; ogni riferimento a persone o situazioni reali è puramente casuale e non diffamante.

Iniziamo col dire che cliccando QUI, potrete trovare il prologo di questa storia. Ora invece, due parole prima che iniziate a leggere il primo capitolo di XAGAX: chiunque di voi voglia scrivere un capitolo è liberissimo di farlo, deve solo crearsi un personaggio e liberare la sua fantasia, senza un limite a quello che vuole creare. Potreste ambientare la storia nel passato, nel futuro, su di un pianeta lontano anni luce dalla Terra; non importa cosa inventiate, perché questo progetto è nato con lo scopo di superare le barriere della logica, del libero pensiero. Qui potete creare mondi nuovi, personaggi assurdi e divertirci tutti insieme a scoprire cosa sia questo fantomatico XAGAX. Se siete interessati a partecipare, scrivendo un capitolo tutto vostro, vi basta mandarmi una e-mail al mio indirizzo, lo trovate nelle mie informazioni personali, nella barra alla vostra destra. Una volta ricevuta l'e-mail di adesione al progetto vi spiegherò nei dettagli cosa fare, per il resto buona lettura e benvenuti in:

CAPITOLO 1:
 Un nuovo caso per il detective Butler
 
Sono le tre di notte, quando il cellulare del detective privato Colin Butler inizia a suonare. Una volta, due, tre; ma lui non risponde, è troppo sbronzo per farlo. È rinchiuso nel suo appartamento da due settimane, non vuole vedere e sentire nessuno, solo rimanere in silenzio a combattere contro i fantasmi del suo passato, cercando di affogarli nei litri di alcol che assume quotidianamente. Alcol e antidolorifici: sono questi la sua unica dieta da quattro anni a questa parte, da quel maledetto 23 maggio 2011, il giorno in cui la sua vita è stata spazzata via. La sua e quella della sua famiglia.
«Colin, apri la porta. Lo so che sei li dentro». Dice una voce da dietro la porta. È il commissario Ash Tanner, l'ex capo di Colin. Un uomo sulla cinquantina, alto, corpulento e completamente calvo. Attende spazientito qualche secondo, poi esclama: «Senti Butler, se non apri subito questa dannata porta, giuro che la sfondo, poi ti prendo a calci in culo fino a farti vomitare l'anima». Ultimo avvertimento.
Da dentro l'appartamento si sente il rumore di bottiglie che rotolano, mentre dei passi indecisi vanno verso la porta d'entrata, che lentamente si apre lasciando entrare per la prima volta dopo due settimane uno spiraglio di luce. «Cristo santo! Butler, sei ridotto una merda, vatti immediatamente a fare una doccia e sistemati, c'è un lavoro per te».

In un appartamento nel pieno centro di New York, al dodicesimo piano di un vecchio edificio in mattoni, da qualche ora è un continuo via e vai di persone. Tra poliziotti e tecnici della scientifica, in quel appartamento è successo qualcosa che richiede la consulenza di Colin Butler, l'esperto numero uno in America sugli omicidi rituali. Quando la macchina del commissario Tanner arriva a destinazione, la zona è già circondata da una folla di giornalisti che si accalcano davanti al cordone della polizia; sono tutti giunti sul posto il prima possibile, appena si è diffusa la voce che la polizia ha chiesto la "sua" consulenza. Lui, Colin Butler, è divenuto negli anni una vera e propria celebrità. Giusto il tempo di scendere dall'auto del commissario Tanner, che  un'ondata di flash lo travolge in pieno, costringendolo a strizzare gli occhi per non rimanere abbagliato. Mentre avanza scortato da Tanner e altri due poliziotti giunti in suo aiuto, schivando microfoni e l'obiettivo delle telecamere, ripensa all'ultima volta in cui è apparso in pubblico: due mesi prima, a Boston, quando vennero ritrovati i corpi di due ragazze uccise da una setta dedita al culto del Sole Nero. In quell'occasione il suo contributo fu di vitale importanza per trovare i colpevoli, prima che compissero altri massacri. Una cosa che fece impazzire i mass media e che lo ha trasformato in una specie di supereroe della legge agli occhi della gente. Ma lui non ama tutto questo, vuole solo essere lasciato in pace nel suo dolore; non ama le sceneggiate e l'ipocrisia dei giornalisti, pronti a tutto per una notizia da prima pagina. Si alza il colletto del trench nero, in modo che il suo viso stanco e sciupato non si riesca a vedere nelle centinaia di foto che vengono scattate mentre raggiunge le scalinate dell'entrata; poi però, succede qualcosa di inaspettato, che lo costringe a fermarsi per un attimo, quasi come se gli mancassero le forze per andare oltre: si vede riflesso nella vetrata a specchio dell'entrata del palazzo; l'immagine che gli si presenta davanti agli occhi gli provoca la stessa sensazione di un pugno in pieno stomaco, non immaginava di essere caduto così in basso, lui non ama vedersi allo specchio, vedere il suo volto scavato, i suoi occhi scuri incavati dalle troppe notti insonne, i capelli brizzolati spettinati e quella barba ispida che un tempo non avrebbe mai fatto crescere. Sua moglie non avrebbe mai permesso che si trascurasse in quel modo. Ma la cosa che gli fa più male, è vedere quella manica vuota alla sua sinistra, quel braccio perso insieme alle persone che amava di più nella sua vita. Per qualche secondo rimane bloccato, terrorizzato dalla figura spettrale che i suoi occhi faticano a riconoscere: il fantasma di quell'uomo che fu, di quel padre e marito amorevole, del quale ora rimane solo una carcassa vuota, privata della linfa vitale che gli dava uno scopo. «Colin, andiamo ragazzo, non è il momento di guardarsi allo specchio». Gli dice il commissario Tanner, mentre gli fa segno di seguirlo all'interno del palazzo.

Appena le porte dell'ascensore si aprono, Colin e il commissario si ritrovano in uno stretto corridoio ghermito di persone; per ogni appartamento ci sono almeno due poliziotti, che interrogano poveri inquilini svegliati dal trambusto della situazione. Gente in pigiama e ciabatte, con l'espressione terrorizzata e ignari di quello che è successo, tutti tranne l'unica testimone che ha dato l'allarme poche ore prima. Colin gli passa affianco e gli lancia un'occhiata veloce: una signora sulla sessantina, bassa e con un colore di capelli discutibile, una sorta di viola prugna con riflessi tendenti al blu scuro. Parla velocemente e con un tono molto alto e fastidioso, continua a ripete: «Lo giuro, ha iniziato tutto a vibrare. Sembrava il terremoto. Il terremoto, capisce? Ho avuto una paura folle, credevo che la casa crollasse da un momento all'altro. Poi un tonfo, tipo "tum", così. E tutto è finito. Non sono pazza, l'ho detto pure al suo collega». Passato l'appartamento della strana signora, il commissario fa segno a Colin di fermarsi un attimo, poi entra nell'appartamento della vittima e chiede al medico legale di uscire un attimo. «Butler, lui è il dottor Adam Turks, il medico legale. Prima di entrare nell'appartamento mi piacerebbe che ti parlasse un attimo, giusto per farti capire del perché ti abbiamo chiamato. Dottore..». Adam è un omino piccolo ed esile, con gli occhiali da vista molto spessi, indossa la classica tuta bianca utilizzata dalla scientifica, che lascia scoperto solamente il viso. «Saltiamo i convenevoli e arriviamo subito al punto: tu non mi piaci. Non mi piacciono i tuoi metodi d'investigazione e non mi va a genio che tu inquini la "mia" scena del crimine ma, purtroppo, il fato vuole che tu sia l'unica persona che ci possa dare una mano a capire il casino che c'è li dentro. Ma ti avverto, Butler, se tocchi qualcosa, anche un solo granello di polvere, ti faccio passare un brutto quarto d'ora. Ci siamo capiti?». Lo sguardo del dottor Turks si fa truce, mentre osserva l'impassibile volto di Colin. Non una parola, solo un cenno della testa a significare che ha capito l'antifona. Poi il dottore prosegue: «Bene, ora che ci siamo chiariti ti spiego quello che sappiamo: la vittima si chiamava Ronald Cohen, trentaquattro anni, celibe, originario del Michigan, lavorava per una ditta di traslochi della città. La chiamata al 911 è arrivata intorno alla mezzanotte, quando la signora Moody...». E si ferma a indicare la signora dai capelli improbabili alle loro spalle, ancora impegnata a raccontare la sua storia ad una poliziotta, visibilmente annoiata. «Dicevo, quando la signora Moody ha chiamato la polizia affermando d'aver avvertito distintamente una forte scossa di terremoto, poi un tonfo proveniente dall'appartamento affianco al suo. Quando è arrivata la volante e hanno provato a bussare alla porta del signor Cohen, nessuno ha risposto. Hanno così provveduto a sfondarla per accertarsi che non fosse stato male o altro; quello che hanno trovato al suo interno però, è un qualcosa che non si sarebbero mai immaginati di trovare. Ora, se davvero sei un esperto di quelle cose, voglio che tu mi dica esattamente cosa diamine è successo qui questa sera. Perché in quasi trent'anni di carriera, io non ho mai visto una cosa simile». Detto questo, il dottor Turks, consente a Colin di affacciarsi sull'uscio dell'appartamento. Al suo interno ci sono quattro uomini della scientifica che fotografano e controllano l'appartamento in cerca di prove, mentre al centro della stanza si trova una figura indefinita, rannicchiata su di un fianco. Tutto attorno ad essa, un cerchio formato da simboli e parole indecifrabili; un cerchio perfetto, senza la minima imperfezione, con segni puliti e precisi. Colin rimane sbalordito, spalanca gli occhi per riuscire a vedere al meglio ogni dettaglio. «Colin, se vuoi entrare devi metterti prima queste». Gli dice il commissario, mentre gli passa una confezione di copriscarpe igienici.

Il corpo della vittima è completamente carbonizzato, in posizione fetale e racchiuso all'interno di un cerchio fatto di sangue. I tecnici della scientifica stanno cercando un qualche segno di bruciatura sul pavimento che possa in qualche modo spiegare del perché il corpo sia ridotto in quelle condizioni. La stanza è completamente vuota, nessun mobile, fatta eccezione per una sedia posta in un angolo. «D-dove sono i mobili?». Chiede con difficoltà Colin, dopo essersi schiarito più volte la gola. Non è più abituato a sentire il suono della sua voce; troppo tempo passato in solitudine, senza parlare con nessuno. Pure Tanner rimane sorpreso nel sentire la sua voce, ed esclama ironicamente: «Cazzo Colin, pensavo che oltre al braccio avessi perso pure la lingua. Comunque tutti i mobili dell'appartamento sono accatastati nella camera da letto. Immagino che chiunque abbia fatto questo li abbia spostati per fare spazio nella stanza. I ragazzi della scientifica li passeranno al setaccio nella speranza di trovare delle impronte, ma c'è anche un'altra cosa di cui dobbiamo prendere nota». L'uomo si avvicina all'entrata dell'appartmento e dice: «Quando è arrivata la prima volante, hanno dovuto sfondare la porta, che quindi risultava essere chiusa dall'interno. Vuol dire che chiunque fosse in questa stanza non è potuto uscire se non saltando dalla finestra. Ma siamo al dodicesimo piano e non ci sono scale antincendio in questa parte del palazzo. E quindi, come cazzo sono potuti uscire da qui?». Colin non gli risponde, perché c'è altro che ha attirato la sua attenzione.

«Ash, devo chiederti un favore. Devo restare cinque minuti da solo in questa stanza.  È importante». Chiede il detective Colin, mentre osserva da vicino le scritte che formano il cerchio di sangue. «Se mi prometti che non tocchi nulla e che sono solo cinque minuti va bene. Ma Butler, mi raccomando, non fare cazzate, altrimenti il dottor Turks ti sbatte fuori a calci nel culo». Gli risponde Tanner, prima di  far uscire i tecnici della scientifica visibilmente contrariati. «Ah, un'ultima cosa Ash: riesci a socchiudere la porta? Devo cercare di concentrarmi il più possibile. Ti prego». Il commissario lo guarda in malo modo, poi borbotta qualcosa a bassa voce e socchiude la porta, mentre il Dottor Turks inizia a urlare frasi poco professionali. Ma tutto questo a Colin non importa, ora ha bisogno di tutta la concentrazione possibile. Si ferma a un metro dal corpo, percorre con lo sguardo il cerchio di sangue, soffermandosi su di una parola in particolare: "XAGAX". Non ricorda quando o dove l'abbia già sentita, ma sa benissimo che non è la prima volta. Si concentra, cercando di creare un collegamento mentale che possa fargli ricordare il momento esatto in cui l'ha trovata per la prima volta; ricordi persi nel tempo, frasi incomplete, frammenti di memoria come tessere di un puzzle. La sua mente è come una serratura e ora ha bisogno di una chiave per aprirla. Da una delle tasche interne del trench estrae un vecchio registratore, lo accende e inizia a parlare: «Registrazione 47-A, caso: XAGAX. Mi sono già imbattuto in questa parola, lo so, ne sono sicuro. Purtroppo però, ho solo quattro minuti e trentasette secondi per scoprire dove. Mi dispiace doverlo rifare, ma ho bisogno di sapere cosa sia successo in  questo appartamento». Detto ciò, appoggia a terra il registratore e da un'altra delle tasche interne del trench, estrae un flacone di pillole. Ne ingoia due, poi lo rimette nella tasca e chiude gli occhi. Inizia a fare respiri lunghi e profondi, rallentando il battito cardiaco il più velocemente possibile. Non ha molto tempo e deve fare le cose più in fretta che può. Il cuore e la respirazione sono ritmati perfettamente, mentre la testa gli inizia a girare. Il detective Colin sa cosa gli sta per succedere, l'ha già fatto altre volte, ma a certe cose non riuscirà mai ad abituarsi. Un raggio di luce bianca lo travolge ed il viaggio ha inizio.

«Sono davanti alla porta, vedo che la stanza è già stata preparata per il rito. L'uomo è in piedi al centro di essa, immobile. Sembra in uno stato di trance. Con lui ci sono altre due persone, due uomini vestiti bene: giacca nera e cravatta rossa, indossano una maschera d'oro che ne cela completamente il viso, con in fronte incisa una X. Non parlano, nessuno dice niente, si muovono come se sapessero a memoria quello che stanno per fare. Vuol dire che non è la prima volta che lo fanno. Uno di loro estrae qualcosa dalla tasca della giacca, non riesco a capire cosa possa essere. Non ha una forma definita. Lo vedo toccare con l'oggetto la testa della vittima, però non lo vuole uccidere, sembra quasi che lo stia in qualche modo benedicendo. Poi vedo il secondo uomo in maschera che si avvicina al primo, ed insieme iniziano a dire frasi che non capisco e...Oddio!». Colin cade in ginocchio, la testa sembra che gli scoppi da un momento all'altro. Sta sanguinando dal naso, ma non riesce a riprendersi. Nella sua mente appaiono immagini distorte di avvenimenti, persone e luoghi che non riesce a concepire. Cerca di non perdere i sensi, ma il dolore alla testa è troppo forte. Mentre il commissario e il dottor Turks spalancano la porta per soccorrerlo, lui si avventa sul registratore e prima di svenire, con un filo di voce, riesce a pronunciare: «XAGAX-RAL-YAL». Poi, tutto si fa buio.