martedì 29 settembre 2015

Piccoli Brividi, il primo orrore non si scorda mai


Per tutti quelli cresciuti negli anni 90, i Piccoli Brividi -in inglese Goosebumps- sono stati e lo sono tutt'ora la serie "horror" per eccellenza, divenuti un successo a livello globale e pubblicati in 32 lingue per un totale di 500 milioni di copie vendute. Non conosco nessuno che non ne abbia mai letto almeno un volume. I racconti, tutti scritti da Robert Lawrence Stine, difficilmente raggiungevano le 150 pagine ed erano stampati con caratteri grandi adatti per la lettura anche dei più piccoli. Nonostante sia stata concepita come una collana di storie dell'orrore, il tutto veniva ammorbidito da toni scherzosi e mai troppo pesanti, anche se le storie erano piene di colpi di scena e molti finali lasciavano i giovani lettori spiazzati, dato che spesso le ultime pagine stravolgevano il senso stesso della vicenda raccontata, finendo anche con un ultimo inimmaginabile plot twist; molto spesso i temi portanti delle storie non erano i mostri, ma i rapporti che collegavano i protagonisti con i loro genitori o amici, i loro problemi e le loro paure verso quell'età oscura che è l'adolescenza, visto che i protagonisti, così come la maggior parte dei lettori, avevano un'età compresa dai dodici ai quattordici anni.


Il primo volume, "La Casa della Morte", uscì in America nel 1992, mentre da noi venne pubblicato dalla Mondadori nel 1995. La prima serie contava in tutto 62 storie, alcune delle quali collegate tra loro, uscite dal '92 al '97; la seconda serie invece, intitolata Piccoli Brividi Serie 2000, è formata da 25 volumi scritti dal '98 al 2000. In seguito Stine, scrisse numerose altre storie fuori collana, molte delle quali non sono mai state pubblicate in Italia, mentre quelle poche che sono state tradotte sono diventate volumi speciali con copertine sbrilluccicose in perfetto stile anni 90.



Ricordo con piacere gli anni in cui passavo giornate intere a leggere i Piccoli Brividi, miei fedeli compagni nelle caldi e afose estati lümbarde, durante le vacanze estive. Ogni volta che passavo per una libreria ne uscivo con almeno un paio di volumi. Posso proprio dire che ho imparato a leggere grazie a loro.





Oltre ai Piccoli Brividi classici e le storie fuori collana, vennero pubblicati  numerosi libri games, in cui il protagonista era lo stesso lettore e in base alle sue scelte la storia portava ad uno tra i venti diversi finali, ma uno solo era quello in cui si poteva salvare. In seguito, assieme ad altri autori tra cui il romanziere italiano Gianfranco Nerozzi, è stata creata la serie Super Brividi: serie di storie leggermente più mature e adatte a ragazzi più grandi della solita fascia d'età dei normali Piccoli Brividi. La collana edita in Italia dal 2002 prosegue tutt'ora, contando circa 72 volumi.






Oltre ai libri, venne prodotta tra il 1995 e il 1998 una serie TV di 74 episodi, che fortunatamente giunse anche sulle reti italiane. Le storie erano molto spesso trasposizioni dei racconti scritti da Stine, mentre altre avevano storie originali scritte anche da altri autori. Una delle cose che rimase maggiormente impressa della serie era la sigla iniziale, tetra e abbastanza disturbante. O almeno, lo era quando si avevano sette anni.


Sempre di film, ma in tempi più recenti, tipo che in America esce il 16 ottobre di quest'anno mentre da noi a febbraio 2016, la Sony ha prodotto il film sui Piccoli Brividi avente come protagonista nei panni di R. L. Stine il grandissimo Jack Black. Corro a prenotare i biglietti.


Ma tanto lo so che la vera causa del successo dei Piccoli Brividi non erano le storie o le copertine ultra fighissime disegnate da Jim Jacobus, ma erano i figherrimi adesivi che si trovavano in ogni volume.