giovedì 29 maggio 2014

BLACK WOLF [capitolo 1] - prima parte

ATTENZIONE!

Quello che andrete a leggere è il primo capitolo di un racconto che sto scrivendo, tutto ciò che leggerete è frutto della mia mente e ogni coincidenza con nomi e avvenimenti realmente accaduti è pura casualità; non intendo offendere la sensibilità altrui e invito alla lettura il solo pubblico maturo. Vi chiedo inoltre, di non appropriarvi o divulgare questo racconto, poiché non è assolutamente a scopo di lucro ma solo per puro divertimento personale. Buona lettura.

 BLACK WOLF 
[Capitolo 1]

 Un lupo nel gregge 
(prima parte) 

Sale lungo la scalinata di marmo più velocemente possibile, ha il fiato corto e le gambe tozze; lo sa bene che il suo inseguitore l'ha quasi raggiunto e che per lui non c'è speranza. Per poco non inciampa nell'ultimo gradino, si  lascia scappare un verso simile ad un grugnito, entra di corsa nella prima stanza che trova. Cerca di chiudersi dentro a chiave ma la porta si spalanca prima che lui abbia il tempo di reagire, «Por favor no disparar». L'uomo è con le spalle al muro, immobile, terrorizzato. Il suo assalitore gli tiene puntata una pistola a meno di un metro di distanza, non dice nulla, si limita a guardarlo negli occhi.

«¿Quién fue a mandarti aquí? Es Cobaldo Martinez?» dice quasi tra le lacrime. Non vuole morire, si sente impotente senza i suoi uomini a proteggerlo. Rimane in silenzio aspettando di essere ucciso, chiude forte gli occhi e maledice chiunque sia stato a mandare quel sicario, ma la cosa che più lo tormenta è il fatto di non aver potuto per l'ultima volta salutare sua madre. Passa qualche secondo e non è ancora successo nulla, Pablo riapre lentamente gli occhi e osserva tremando l'uomo che ha di fronte. Alto e sulla quarantina, calvo, porta un paio di occhiali con le lenti a specchio, folti baffi gli coprono il labbro superiore dandogli un'espressione cupa e seriosa. Il braccio sinistro puntato verso la testa di Pablo, nella mano la pistola con silenziatore. Nessuno dei due si muove, come se il tempo si fosse congelato. Poi si sente vibrare un telefono; sempre tenendolo sotto tiro, l'uomo prende dalla tasca della giacca uno di quei telefoni prepagati, senza distogliere lo sguardo schiaccia il tasto del vivavoce. «Mi senti, brutto figlio di puttana? Mi riconosci?». Pablo sbianca, è la voce di Joe Kooper, il suo ex-socio in affari.

«Dillo coraggio, dillo che sei stato tu!». La voce di Kooper echeggia nella stanza come un terremoto.
Pablo piange e continua a ripetere di non saperne nulla, l'uomo armato osserva impassibile la scena.
«Joe, ti ho detto che non soy stato io. Te lo giuro su mi madre».
«Pablo, amico mio. Ho passato gli ultimi cinque anni a cercarti e voglio solo una cosa da te. La verità».
In quelle parole, Pablo vede uno spiraglio di luce, una possibilità per cavarsela. Si asciuga con una manica della camicia il viso e prende coraggio: «Joe, t-tu me conoces da tanti años, y-yo no soy e-escapado da Phoenix, no he sido yo a revocar te a la policía. ¡Te lo juro sobre la cabeza de mi madre!».

Il messicano parla veloce, sputacchiando tra una parola e l'altra per il troppo nervoso, cerca in tutti i modi di salvarsi la pelle. Tenta di sembrare convincente e disperato anche difronte all'evidenza della sua colpevolezza; in pochi attimi il suo cervello è in cerca di nomi e fatti che possano scagionarlo, pensa al cugino Antonio, all'amico Gustavo e allo zio di San Pedro, ma nessuno gli può fornire un alibi. Nessuno. «Pablo Ramìrez Hernàndez, mi prendi forse per idiota? Chi credi che mi abbia detto dove trovarti, la fatina dei dentini? No, brutto pezzo di merda di un messicano del cazzo. Sai chi è stato? Vuoi proprio saperlo?». Kooper, dall'altro lato del cellulare, si lascia scappare una risata isterica che rimbomba tra le pareti della stanza dove si trovano Pablo e il misterioso sicario. Il messicano si appiattisce contro il muro alle sue spalle attendendo la risposta tra le lacrime. Guarda il cellulare nella mano del killer, poi rivolge lo sguardo alla pistola puntata contro la sua testa :«D-d-dime q-q-quien ha sido, Joe. ¡ dime el nombre de quién me ha condenado!» Urla disperatamente con tutta la voce che ha in corpo. Il volto paonazzo e le mani strette a pugno lungo i fianchi. Non è pronto per morire. Non è pronto per la risposta.

«È stata tua madre».

Un suono ovattato, Pablo viene scosso da un brivido. Si porta una mano sulla faccia e con l'indice passa attorno al foro che ora c'è al posto del suo occhio sinistro. «Mamà...» Bagna i pantaloni. Scivola lentamente lungo il muro lasciando una scia di sangue. «Ottimo lavoro Wolf, hai appena ricevuto la seconda metà del tuo compenso. Spero ch...» La telefonata si interrompe. Il killer spezza in due il cellulare e lo mette nello zaino nero che porta sulle spalle: è tempo di ripulire la casa. Tira fuori dalla tasca un secondo telefono prepagato, digita un numero a quattro cifre, sente partire una fastidiosa musichetta e poi la voce registrata di un disco. «Una pizza con peperoni e una coca light» Dice con tono tranquillo e pacato, il disco finisce e dall'altro capo un suono simile a quello di un vecchio modem interrompe la telefonata. Da quel momento ha solo cinque minuti per ripulire la casa da eventuali impronte e andarsene.

Ha ucciso dodici uomini e due prostitute fatte di chissà quale droga, un piccolo commerciante di schiavi messicano di nome Pablo Álvaro Ramìrez Hernàndez, avvelenato quattro cani da guardia e distrutto ogni prova che lo possa collegare alla strage. Eppure ha sempre paura di aver dimenticato qualcosa, un po' come quando si crede di aver lasciato il gas accesso in casa, solo che lui sa bene di non potersi permettere nessun errore, quindi decide di fare un'ultima ispezione per casa prima dell'arrivo della "pizza". Controlla ovunque, ogni corpo, ogni singolo dettaglio di ogni uccisione. Rivive ogni momento con fredda lucidità e calcolatezza.
Ripercorre i suoi passi all'interno della villa di Pablo e riconta le vittime, si assicura che nessuno di loro respiri ancora, non possono esserci testimoni. Poi un'illuminazione, il pomello della porta del bagno. Corre per le scale stando attento a non toccare nulla, si fionda davanti alla porta del bagno dove poco prima ha posto fine alla vita di Pablo e osserva il pomello. Niente impronte. Bene. Nonostante usi sempre i guanti, ha il terrore di lasciarsi dietro qualche impronta. Il cellulare nella tasca dei pantaloni vibra. È arrivata la "pizza".

Due ore dopo, da un piccolo albergo di Taxco, esce un uomo sulla quarantina, capelli castani e la faccia pulita. Indossa abiti eleganti e si trascina per la via un piccolo trolley da viaggio con fantasia floreale, è come al solito in ritardo e rischia di perdere l'aereo. Ferma il primo taxi che trova e con uno spagnolo molto scarso chiede all'autista di portarlo all'aeroporto Juarez International, Città del Messico. Arrivato a destinazione imprecando per la lentezza del taxi e disperato per la perdita del volo, scopre con sollievo che l'aereo diretto a Salt Lake city ha avuto un ritardo e che dovrà aspettare almeno tre ore prima di poter partire. Il signor Samuel Summer è l'unico passeggero contento della notizia, avrà così tutto il tempo per sistemare le ultime cose e poter crearsi una storia convincente per la moglie. Senza dimenticare un regalo per la piccola Heather. Mentre è seduto al terminal, osserva la miriade di persone che lo circondano, tutte impegnate nelle loro vite incuranti di ciò che le circonda. Lui si sente a suo agio in mezzo alla folla, si sente sicuro. Perché nessuno si accorgerebbe di lui, un uomo come tanti, senza nulla di speciale. Si aggiusta il parrucchino dietro le orecchie e si tocca il labbro superiore, gli piacevano i baffi. Tra tutta quella gente lui appare come un puntino invisibile, mentre in verità è una bestia famelica. Lui è un lupo nel gregge.